Nel 2011 la locandina dell’agenzia turistica recitava:
“Questo Paese ha un periodo buio nella sua storia. Il comunismo fu pieno di paranoia, spionaggio e violenza. Con questo tour puoi scoprire il passato e le storie al tempo del comunismo e provare come fu la vita in Cecoslovacchia durante il periodo del comunismo e della guerra fredda. Con tutta la paura e le conseguenze, naturalmente.
Prezzo: 600 Corone”.
“ GUARDA OLTRE LA CORTINA DI FERRO”.
Quando nel 1994 visitai Praga per la prima volta, quasi all’indomani dalla caduta dei regimi comunisti nei Paesi del Patto di Varsavia, trovai una città in piena ripresa economica; la gente cominciava ad assaporare la libertà negata per quasi cinquant’anni ssaporare la libertà negata per circa cinquan'a o la caduta dei regimi comunisti paura e tutte o e le storie dal tempo del e nessuno aveva voglia di parlare di quel passato scomodo ed ingombrante.
Era quasi un tabù; forse si temeva ancora una qualche (ormai impossibile) ritorsione da parte della polizia segreta di regime.
Naturalmente della presenza di un bunker nucleare in città..…nemmeno l’ombra.
Diciassette anni dopo, Praga si presenta come una città occidentale a tutti gli effetti; il passato è ormai solo un lontano e doloroso ricordo, soprattutto per i meno giovani.
Oggi, a testimonianza di quegli anni bui, le agenzie turistiche offrono il “Communism & Nuclear Bunker Tour” che permette di toccare con mano gli anni terribili della guerra fredda e quelli di lotta e di speranza che ne seguirono.
Il giro prevede inizialmente la visita dei luoghi simbolo della città: il quartier generale della polizia segreta, le strade dove scoppiarono la “primavera di Praga” e le proteste del ’68, Piazza San Venceslao dove lo studente Jan Palach si diede fuoco per protesta (e poi morì) e poi una spiegazione generale sulla recente storia, dall’invasione Sovietica alla “Rivoluzione di Velluto” del 1989 che portò alla fine del comunismo.
Ma il pezzo forte riguarda la visita del più grande Bunker Nucleare di Praga.
Costruito all’inizio degli anni ’50, quattro piani posti a 16 metri di profondità, dozzine di stanze e parecchi tunnel, avrebbe potuto ospitare in caso di attacco nucleare più di 2500 persone.
Entriamo attraverso il cancello sul lato sinistro e subito ci si presenta davanti la possente ed inquietante porta d’acciaio; scendiamo le scale e la nostra guida ci introduce in locali angusti e sinistri, primi tunnel del Bunker, dove sono ancora ben visibili i segni di un passato più recente: disegni e foto sulle pareti, resti di vecchie apparecchiature elettroniche, divani e tavolini, tutto in stato di abbandono.
E’ evidente che negli anni scorsi questi locali, ormai destinati solo a visite guidate per turisti, sono stati utilizzati dai giovani come luogo di ritrovo e di aggregazione, quasi a voler esorcizzare la paura di un attacco nucleare fortunatamente mai avvenuto e di un passato regime che non avrebbe mai permesso queste forme di socializzazione “alla occidentale”.
La visita prosegue lungo altri tunnel e stanze dove sono esposte le testimonianze della guerra fredda: fotografie, uniformi militari autentiche, maschere antigas, tute e soprabiti da indossare in caso di attacco e poi inquietanti corridoi, porte blindate, chiusure ermetiche.
Un piccolo museo ma una grande testimonianza di ciò che l’uomo è stato capace di costruire intorno ad un’ideologia, ma sarebbe forse più corretto dire intorno ad un’utopia.
Usciamo, lasciandoci alle spalle il bunker.
Il cancello di sinistra è ormai chiuso; mi giro per l’ultima volta a guardare basito quel luogo incredibilmente così vero, che forse ha rappresentato per decenni, nell’immaginario collettivo, l’ultima àncora di salvezza dall’occidente invasore ed imperialista.
Mi colpisce quel disegno di forma astratta che occupa quasi tutta l’austera facciata del Bunker;
sulla destra intravedo quello che potrebbe sembrare un uccello in volo.
Mi fermo per un attimo a riflettere: forse qualcuno ha voluto scrivere lì, proprio su quel muro, un messaggio: “finalmente siamo liberi, liberi come un uccello in volo…..”
Ma ora devo andar via; appena in tempo per raggiungere in fretta il gruppo che intanto si era allontanato.
Un tram ci riporta in Piazza San Venceslao dove la nostra giovane guida ci ringrazia e congedandosi da noi, ci lascia con una preghiera che sa tanto di speranza: “please, don’t vote communist……”
Antonello Serrao